Il Santo del giorno: San Celestino I Papa
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- Scritto da Francesca Mento
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Giustamente viene considerato come il martello del nestorianesimo. Secondo il Liber Pontificalis, preziosa raccolta delle vite dei papi dal secolo VI al secolo IX, Celestino, figlio di Prisco, nacque nella Campania, non sappiamo in quale anno. Pare che fosse parente dell’imperatore Valentiniano III (+455). Eletto diacono della Chiesa di Roma, fin dal 390 fu in relazione con S. Agostino, vescovo di Ippona (Africa). Il papa S. Innocenzo I (+417), sembra che lo abbia gratificato dell’affettuoso titolo di “figlio mio”, mentre gli esponeva alcune difficoltà sorte a proposito di Decenzio, vescovo di Gubbio (Perugia).
Alla morte del papa S. Bonifacio (+442), fu concordemente chiamato a succedergli dal clero e dai fedeli benché in quel tempo fosse ancora forte il partito dell’antipapa Eulalio (1419), sostenuto dai seguaci del monaco bretone Pelagio e del suo discepolo Celestio. Appena eletto al Sommo Pontificato, Celestino I intraprese con vigore la restaurazione dottrinale e disciplinare della Chiesa. A Roma impose la chiusura delle chiese dei seguaci dell’antipapa Novaziano che, nel secolo III, si sera opposto alla riconciliazione dei lapsi con la Chiesa. Fece restaurare la basilica di Santa Maria in Trastevere, costruita da papa S. Giulio I, che era rimasta danneggiata durante l’assedio di Alarico (410), re dei Visigoti, e la consacrò dotandola di ricchi doni. Con l’aiuto di Pietro, sacerdote dell’Illirico, sul colle Aventino fece costruire, al posto di un più antico edificio sacro, la basilica di Santa Sabina (425).
Il concilio di Sardica (343), oggi Sofia (Bulgaria), convocato dagli imperatori d’oriente e d’occidente per ristabilire l’unità di fede e la pace nella Chiesa, aveva tutelato il diritto che hanno i fedeli di appellare alla Santa Sede. Celestino I lo difese energicamente a costo di incorrere talora in errori, come quando accolse gli appelli di Antonio, eletto da S. Agostino vescovo di Fussala (Numidia) e poi interdetto a causa delle sue esazioni, e di Apiario, prete di Sicca Veneria, il quale, quando era scomunicato per le sue gravi colpe, ricorreva abitualmente a Roma.
I vescovi africani non temettero di mandare una lettera al pontefice per scongiurarlo di non accogliere con soverchia condiscendenza coloro che dall’Africa facevano ricorso a lui, di tenere conto di alcuni privilegi locali in proposito, e di non autorizzare i delegati romani a chiedere l’aiuto delle autorità civili per fare eseguire le sentenze pontificie.
A parte questi inconvenienti, con le sue decretali Celestino I tracciò sapienti norme. Riconobbe la preminente dignità delle chiese di Alessandria d’Egitto e di Antiochia; sostenne i diritti del Vicariato papale di Tessalonica (Salonicco), eretto per tutto l’Illirico benché soggetto a Costantinopoli; difese Felice, vescovo diApollonia, presso i colleghi della suddetta regione; richiamò i vescovi della Gallia Narbonese e Viennese all’osservanza delle leggi riguardanti le elezioni episcopali; condannò alcuni abusi in cui taluni erano incorsi, come quello di portare il mantello e la cintura alla maniera dei monaci e di permettere che certi sacerdoti si rifiutassero di assolvere i moribondi che ne facevano richiesta; riprese i vescovi delle Puglie e della Calabria perché alcune loro comunità pretendevano di presentare alle sedi vescovili candidati provenienti dal laicato, anziché dal clero.
Con non minore zelo Celestino I tutelò la purezza della fede contro gli errori che in quel tempo serpeggiavano in occidente e in oriente. Con la sua azione vigorosa riuscì a cacciare i capi pelagiani dall’Europa e combatterli fino nella lontana Gran Bretagna, dove mandò in missione S. Germano, vescovo di Auxerre (+429), con suo nipote S. Lupo, vescovo di Troyes, e nell’Irlanda, alla quale diede il primo vescovo, S. Palladio.
A lui subentrò (342) S. Patrizio, che ne fu l’apostolo per eccellenza, fino alla morte (461). A proposito di Giuliano, erudito vescovo di Eclano (Benevento), ribellatosi alla condanna del Concilio Cartaginese XVI contro i seguaci di Pelagio, e a proposito di altri vescovi, seguaci dell’eresiarca, rifugiatisi a Costantinopoli, il papa rispose alle insistenti sollecitazioni del patriarca Nestorio ricordandogli che quella eresia era già stata condannata. Evidentemente alludeva all’accettazione delle
condanne papali del pelagianesimo da parte di Attico (425), penultimo predecessore di lui nella sede costantinopolitana. S. Prospero d’Aquitania, profondo conoscitore del pensiero di S. Agostino, benché laico, informò Celestino I che nella Gallia, Giovanni Cassiano (+435) e i monaci dell’abbazia di San Vittore da lui fondata a Marsiglia, riguardo alla grazia e alla predestinazione sostenevano idee semipelagiane.
Male interpretando il pensiero di S. Agostino, i seguaci di Pelagio insegnavano che il peccato commesso da Adamo nocque a lui solo; che i bambini nascono senza il peccato originale che l’uomo può evitare il male e acquistare la visione beatifica con le sue sole forze sole naturali; che non esiste l’intrinseca grazia divina, del resto non necessaria; che la redenzione non è rigenerazione dell’uomo mediante la grazia, ma piuttosto un appello ad una vita più alta da acquistarsi con le proprie forze. I semipelagiani invece insegnavano che non si richiede la grazia ad iniziare la fede e la santificazione, ma solo a completare l’una e l’altra; che Dio concede la grazia secondo i nostri meriti e le nostre disposizioni positive a riceverla; che la perseveranza finale è frutto dei nostri meriti.
Il 15 maggio 431 Celestino I prese le difese di S. Agostino, morto l’anno precedente, scrivendo ai vescovi della Gallia: “Agostino è restato costantemente in comunione con noi e non è mai stato sfiorato dall’ombra di un sospetto. La sua scienza era così eminente che diversi miei predecessori lo computavano già tra i migliori dottori”. E invitò quei vescovi a proibire che “certi preti, i quali suscitano controversie disordinate, predichino con tanta ostinazione cose contrarie alla verità”.
Non minore energia il santo pontefice dimostrò contro l’eresia di Nestorio, convinto com’era che il popolo è da ammaestrarsi, non da seguirsi. Il patriarca di Costantinopoli affermava l’integrità della natura umana di Cristo, ma non riusciva ad immaginare una natura completa esistente che non fosse persona, vale a dire soggetto autonomo di esistenza e di attività. Quindi, come doveva ammettere una persona divina in Gesù, così Gli attribuiva anche una persona umana. Essendo le due persone naturali indipendenti l’una dall’altra, tanto nell’esistenza quanto nelle azioni, la loro unione non poteva essere ontologico-ipostatica, ma psicologico-morale, che consiste nel pieno accordo fra le due volontà in Cristo e nella comunione delle azioni, in quanto una delle persone liberamente si serve dell’azione dell’altra. Quest’armonia delle volontà e la comunione delle azioni che ne nasce, sono i costitutivi della persona composta di Cristo. Ne consegue che non c’è la mutua attribuzione delle proprietà della natura umana e della natura divina in Cristo: Dio non è nato, non è stato crocifisso e non è morto; Maria SS. non è madre di Dio se non impropriamente, perché generò non già la divinità, ma quell’uomo che venne assunto dal Verbo divino. Ammette però uno scambio delle proprietà, limitato alla persona composta di Cristo, alla quale possono riferirsi gli attributi divini e umani: non l’uomo, ma il Verbo è Figlio di Dio, come non il Verbo, ma Cristo è figlio di Maria. Nestorio, non contento di predicare simili errori, mandava un po’ ovunque i suoi sermoni e scriveva lettere su lettere a Celestino I per informarlo delle lotte che fervevano nella sua chiesa bizantina. Il papa, non potendo rivolgersi per consiglio ad Agostino a causa dell’invasione dei Vandali, interpellò Cassiano il quale non tardò a rispondergli che era sfavorevole alle idee di Nestorio.
Tuttavia chi ne scoprì il punto debole fu S. Cirillo di Alessandria il quale aveva un concetto molto preciso dell’unità personale di Cristo. La polemica arse tra loro due finché Cirillo espose a Celestino I i pericoli che correva la fede in oriente e gli chiese una sentenza di condanna. Il papa radunò a Roma un sinodo (430), condannò gli errori di Nestorio e gl’impose di ritrattarsi formalmente per scritto entro dieci giorni pena la deposizione.
La sentenza fu affidata a Cirillo quale rappresentante del papa. Questi cercò di distaccare la corte di Teodosio II da Nestorio, ma non vi riuscì. Dovette anzi accettare la convocazione di un concilio ecumenico ad Efeso, se non voleva cadere in disgrazia dell’imperatore. Il vescovo di Alessandria vi comparve (431) con un bei numero di amici compatti e agguerriti contro l’eresia. I Legati romani non arrivarono in tempo all’apertura del concilio, drillo, che aveva fretta di concludere, considerandosi ancora rappresentante del papa, si credete in diritto di presiederlo. Nestorio fu invitato a prendervi parte, ma non comparve. Fu allora esaminata la lettera con cui Celestino I incaricava Cirillo di deporre Nestorio e i dodici anatematismi del sinodo tenuto ad Alessandria contro le false teorie di lui. La sua dottrina fu esaminata e giudicata in base ad alcune dichiarazioni e omelie dell’imputato.
L’eresiarca fu condannato e deposto e, in seguito, esiliato. I suoi beni furono confiscati e i suoi libri bruciati. I vescovi del concilio vennero accompagnati alle loro case con torce accese, mentre tutta la città si illuminava a festa. All’arrivo dei Legati pontifici il concilio tenne le sue ultime sessioni. Gli inviati del papa, che avevano avuto istruzione di affidarsi a Cirillo, sottoscrissero la sentenza contro Nestorio e ne informarono Celestino I. Avevano voluto che la decisione del concilio romano fosse considerata definitiva “ben sapendo che Pietro è alla testa della fede comune e di tutti gli apostoli”. Il papa nelle lettere dirette nel 432 ai padri conciliari, all’imperatore, al nuovo patriarca Massimiliano, al clero e al popolo di Costantinopoli, espresse tutta la sua esultanza per il trionfo della verità sull’errore, e indicò come dovevano essere trattati Nestorio e i suoi seguaci.
Il concilio di Efeso non riportò la pace nella chiesa orientale. Le passioni umane che entrarono nella controversia nestoriana, e lo stato imperfetto della formulazione teologica del dogma dell’unione ipostatica, protrassero ancora a lungo la lotta fra gli avversar! e gli amici del deposto patriarca. Celestino I morì il 27 luglio 432 e fu sepolto a Roma nel cimitero di Priscilla. S. Pasquale (+824) ne fece trasportare le reliquie nella basilica di Santa Prassede, che lui aveva fatto ricostruire e adornare di splendidi mosaici.