Il Vangelo del giorno – 20 Luglio – Vogliamo vedere un segno
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- Categoria: Il vangelo del Giorno
- Scritto da Francesca Mento
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Il Vangelo di oggi: Mt 12,38-42
In quel tempo, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno». Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!».
Commento al Vangelo di oggi: Vogliamo vedere un segno
Lo Spirito dice con Paolo: «Mentre i giudei chiedono segni e i greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per le genti» (1Cor 1,22). I Vangeli non si accontentano di riferire le azioni di Gesù, anche se sono «miracolose», ma ne danno la chiave di interpretazione. Per Luca i miracoli di Gesù sono manifestazioni della potenza di Dio che agisce in Gesù. Per Giovanni le opere che Gesù compie sono segni della gloria di Dio che riposa su Gesù.
Molte volte vorremmo che un intervento potente di Dio, un miracolo, un segno grandioso, potesse risolvere non solo i nostri piccoli o grandi problemi, ma anche i grandi problemi del mondo. In questi frangenti è opportuno riflettere che il grande miracolo, il grande segno della potenza di Dio lo abbiamo già ricevuto in Gesù Cristo, risorto dai morti, al terzo giorno dalla sua crocifissione: il segno di Giona. Egli, infatti, passò lungo le strade di questo mondo e ha condiviso la nostra stessa esperienza di creature deboli segnate dalla sofferenza. Egli, per amor nostro, è giunto ad abbracciare il legno della croce e morire sul quel legno. In questo modo anche le nostre “croci” hanno un senso. A partire dalla morte e risurrezione di Cristo, possiamo vedere la nostra vita in modo diverso. Gesù è l’unico e vero segno dell’ amore di Dio che rende possibile il perpetuarsi nella storia di una moltitudine di “segni”. Non è forse segno, cioè miracolo, l’ammalato che vive con fede e rassegnazione una malattia inguaribile? Non è “segno” la fedeltà e il perdono di una o donna o di un uomo traditi dal loro coniuge? Non è miracolosa la conversione dei nostri cuori o la confessione sacramentale di chi per tantissimi anni è vissuto immerso nella selva oscura del peccato? Non sono segni le suore, i preti, i fedeli laici che vivono gomito a gomito con i “dimenticati” nei letamai di questo mondo, nelle case di fango di chi soffre e muore per la fame o per la mancanza di un banale vaccinino? Non sono segni le rondini che tornano ai loro nidi o le primole che vincono la resistenza delle ultime nevi invernali? Non è segno questa vita modellata con un pugno di creta e decorata dall’amore di chi l’ha voluta e pensata? Perché cercare segni straordinari e dimenticarsi della straordinarietà di ciò che è semplicemente ordinario? Non dobbiamo essere increduli ma dei credenti che vedono Dio nello stupore di una stella, di una mamma che allatta, di un povero che viene accolto e sfamato.