Il Vangelo del giorno – 17 Luglio – Misericordia io voglio e non sacrifici
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- Categoria: Il vangelo del Giorno
- Scritto da Francesca Mento
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Il Vangelo di oggi: Mt 12,1-8
In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato». Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».
Commento al Vangelo di oggi: Misericordia io voglio e non sacrifici
Il tempio di Gerusalemme era sede della «presenza» di Dio. Il popolo di Israele saliva spesso al tempio: «Quale gioia quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”. Innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (Sal 121,1). La «presenza» nel santuario ricordava che Dio era amico degli uomini. Il tempio di pietra, dove si immolavano i sacrifici, è stato sostituito dal tempio del cuore, dove si canta la misericordia del Signore.
Quando si percorre il deserto, quando la terra è arida, non si può digiunare, si strappano le spighe che si riescono a trovare, si spigola il campo dove i covoni sono già stati posti nei granai. I poveri vedono la presenza del Signore nel poco che riescono a racimolare, anche di Sabato. Le miserie spirituali richiedono la costante presenza di Dio, tutti i giorni sono santi per chi mendica un tozzo di misericordia. Quando si rincorre Dio per toccargli un lembo del mantello non si ha tempo di rinchiuderlo nel bozzolo di un precetto, nell’astratta definizione di un concetto teologico. Solo chi possiede dei campi, un raccolto sicuro può decidere i giorni del raccolto; chi non possiede deve accontentarsi di raggranellare quello che può. Fin che posso cerco di godere della presenza dello sposo, finché la sua presenza non è del tutto offuscata in me, strappo le spighe del campo, mangio, come i cagnolini, di quel che cade dal suo Santo Altare. Anche Davide, quando ebbe fame, mangiò del pane dell’offerta; io sono nel bisogno, in un perenne bisogno, non posso aspettare le prime luci del giorno dopo. Non posso comunicare con l’Infinito attraverso le belle idee che mi sono fatto di Lui. Sono vuoto. Il deserto, solo la sabbia arroventata dal sole mi sta dinnanzi, si perde negli angusti orizzonti del mio essere, di questo niente che tende le sue mani vuote per ricevere le poche spighe che scivolano dal carro dell’eterna misericordia. E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”. Dio passa nel cuore e non nella testa, passa nel mio deserto, non nell’oasi delle umane perfezioni.